Pablo Neruda
Pablo Neruda (1904-1973) il cui vero nome è Neftali Ricardo Reyes Basoalto, è stato uno dei poeti sudamericani più importanti e rappresentativi del XX secolo vincendo, nel 1971, il premio Nobel per la letteratura.
La sua poetica è ricca di immagini evocative e i temi che affronta spaziano dal sentimento amoroso alla vita quotidiana, ma è presente anche una forte dimensione politica, aspetto fondamentale della sua vita e della sua carriera. Non fu solo scrittore ma anche diplomatico e politico, vicino alle idee comuniste: anch’egli, come Tina Modotti, si schierò con i repubblicani durante la guerra civile spagnola nel 1936, e l’anno successivo pubblicò il suo poema dedicato alla guerra, La Spagna nel cuore.
Nel marzo del 1945 venne eletto senatore del governo cileno, compito che perseguì con grande impegno nonostante la controversa situazione socio-politica del paese.
Tra le sue raccolte poetiche più famose “Venti poesie d’amore e una canzone disperata” (1924), “Cento sonetti d’amore” (1959), “Confesso che ho vissuto” (1974).
Neruda dedicò un toccante epitaffio a Tina Modotti, venuta a mancare così prematuramente e in maniera alquanto sospetta, forse, come pensa lo stesso poeta, per mano del suo amante Vittorio Vidali.
Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.
(Pablo Neruda , 5 gennaio 1942)